SULLA STEREOSCOPIA
Dalla rappresentazione del reale alla sua clonazione
di Antonello Satta
Padova, 2002
È indubbio che la nostra tendenza innata alla rappresentazione sia in parte determinata dalla nostra naturale
struttura fisiologica e percettiva, strutturata
secondo il doppio processo di ricezione ed elaborazione
degli stimoli ricevuti dall'esterno.
Già Aristotele aveva rilevato questa caratteristica
quando sosteneva che l'uomo, per pensare, ha bisogno
di immagini.
Questa tendenza, che emerge anche in molte manifestazioni
della nostra psiche, ad esempio nell'attività
onirica, è favorita dall'estrema rilevanza
che ha sempre avuto il senso della vista nella
nostra esistenza. Non è un caso se il ruolo
della visione, nell'elaborazione del pensiero
umano, inteso in senso collettivo, ha determinato
frequenti cambiamenti di paradigma nel nostro
modo di concepire il mondo. Al riguardo, estremamente
chiarificatoria è stata l'opera dello storico
dell'arte Ernst. H. Gombrich, che ha sottolineato
in molte sue opere la relazione tra il carattere
sensoriale delle varie civiltà e le loro
motivazioni culturali; così se gli egizi
rappresentavano ciò che "sapevano",
i greci raffiguravano ciò che "vedevano"
e gli artisti medioevali esprimevano ciò
che "sentivano". Questa stretta relazione
tra immagine e pensiero è una costante
di tutta la storia dell'uomo.
Pensando alla storia dell'arte, non solo come
storia di stili, convenzioni e poetiche, ma come
storia di artisti e della loro relazione con il
mondo, quella che può essere definita "pulsione
alla rappresentazione" ha avuto proprio nel
confronto con il mondo reale un costante punto
di riferimento.
Se, come sostiene Heinrich Schwarz in "Arte
e Fotografia", la ricerca pittorica si è
configurata per secoli come il continuo tentativo
di riprodurre, in modo sempre più fedele,
il mondo reale su una superficie bidimensionale,
è indubbio che questi tentativi abbiano
raggiunto i massimi risultati, tra Seicento e
Settecento, nei "trompe-l'oeil" e nelle
illusioni prospettiche.
Nonostante si sia riusciti solo nel Rinascimento
a formulare le leggi della prospettiva che regolano
la nostra visione del mondo, il tentativo di raffigurare
il paesaggio con assoluta fedeltà è
molto più antico; esemplare è, al
riguardo, la vicenda narrata da Plinio e relativa
alla gara pittorica tra Zeusi e Parrasio, tesa
a dimostrare chi dei due fosse più abile.
Mentre Zeusi "presentò dell'uva
dipinta cosi bene che gli uccelli si misero a
svolazzare sul quadro, [Parrasio] espose
una tenda dipinta con tanto verismo che Zeusi,
pieno di orgoglio per il giudizio degli uccelli,
chiese che, tolta la tenda, finalmente fosse mostrato
il quadro; dopo essersi accorto dell'errore, gli
concesse la vittoria con nobile modestia; se egli
aveva ingannato gli uccelli, Parrasio aveva ingannato
lui stesso, un pittore".
Ma è proprio tra Seicento e Settecento,
con l'uso in campo pittorico della camera oscura,
che questa ricerca diventa palese. L'avvento della
fotografia, alla fine del terzo decennio dell'Ottocento,
sembrò poi concludere questo sforzo.
Nel 1827 Joseph Nicéphore Niepce, dopo
vari anni di tentativi, riescì a fissare
stabilmente su una lastra metallica ricoperta
di bitume di Giudea una veduta dalla finestra
del suo studio. Due anni dopo, il pittore francese
di Diorami Louis-Jaques Mandé Daguerre
riuscirà ad associarsi a Niepce per il
perfezionamento dell'invenzione, ma la morte improvvisa
di quest'ultimo, nel 1833, gli consentirà
di beneficiare da solo dei risultati del loro
sodalizio. In quegli stessi anni anche altri ricercatori
erano impegnati nello studio di un sistema per
riprodurre fedelmente il mondo reale su una superficie
bidimensionale.
In Inghilterra, fu William Henry Fox Talbot, uno
scienziato di fama internazionale, a mettere a
punto, gia dal 1834, un procedimento per rendere
sensibili alla luce dei fogli di carta; egli perfezionò
il metodo fino a giungere, nel 1841, alla "calotipia",
una tecnica basata sull'uso del negativo di carta
che segnò una svolta nella storia della
fotografia: la possibilità di duplicare
infinitamente l'immagine di un soggetto, a partire
da un'unica matrice.
Anche altri due ricercatori, Hercules Florence
in Brasile e Hippolyte Bayard in Francia, tra
il 1833 e il 1839, riuscirono a fissare stabilmente
le evanescenti immagini della camera oscura, ma
fu il processo fotografico che da Daguerre prese
il nome ad imporsi immediatamente sul mercato,
grazie anche all'appoggio del governo francese
che ne acquistò il brevetto per donarlo
gratuitamente al mondo intero. Era il 1839. Finalmente
l'antico sogno dell'uomo di duplicare il reale
su una superficie bidimensionale giungeva a coronamento.
Contemporaneamente all'attività di questi
ricercatori, e ancor prima che i loro risultati
fossero di pubblico dominio, a partire dal 1832,
il fisico inglese Charles Wheatstone, compì
studi sulla visione binoculare che lo porteranno
a mettere a punto lo stereoscopio a specchi, dal
greco stereós ("solido", "tridimensionale"),
e skopein ("vedere"), con il quale era
finalmente possibile osservare immagini tridimensionali,
a partire da due disegni dello stesso soggetto,
ottenuti da due punti di osservazione distanziati
tra loro quanto i nostri occhi.
"Senza la fotografia - scriveva il
pittore e fotografo Henri De La Blanchère
nel 1861 - lo stereoscopio sarebbe rimasto
una curiosa applicazione ottica, ma con un ruolo
limitato alla presentazione in rilievo di solidi
geometrici, in piccolo numero, disegnati con difficoltà
con riga e compasso".
Con l'introduzione della fotografia, Wheatstone
cercò subito di coinvolgere numerosi fotografi,
affinché realizzassero qualche coppia di
immagini per il suo strumento, ma, nonostante
promettenti risultati, si dovrà superare
la metà del secolo per la diffusione del
nuovo metodo. Ciò avverrà con la
presentazione, alla grande Grande Esposizione
Universale di Londra del 1851, di un nuovo modello
di stereoscopio (a lenti) ideato dal fisico David
Brewster. Il successo fu così straordinario
che in soli tre mesi, a Londra e Parigi, se ne
vendettero quasi 250.000 pezzi. Di colpo iniziarono
a costituirsi decine di società di produzione
di stereoscopi e stereografie al punto che ben
presto non esisteva luogo della terra o soggetto
che non fosse abilmente riprodotto in tre dimensioni.
La London Stereoscopic Company, fondata intorno
al 1854 con lo slogan "Nessuna casa senza
uno stereoscopio" vendette nei primi due
anni di attività 500.000 stereoscopi, arrivando
ad avere in catalogo 10.000 soggetti. Nel 1856
il numero dei soggetti era salito a 100.000. Le
vedute stereoscopiche riguardavano principalmente
monumenti e luoghi geografici, non solo inglesi,
ma di ogni angolo del mondo. Il grande fotografo
William England lavorò per questa compagnia
sin dalla sua fondazione e fu autore di migliaia
di straordinarie stereografie realizzate ovunque,
come l'apprezzatissima serie "America in
the Stereoscope", che rivelò al pubblico
inglese gli sconfinati paesaggi e le innovative
architetture degli Stati Uniti.
Nel 1859, come auspicato dalla London Stereoscopic
Company, non esisteva casa senza stereoscopio
e, proprio in quell'anno, Charles Baudelaire annotava
come "Migliaia di occhi avidi si chinano
sui buchi dello stereoscopio come sulle finestrelle
dell'infinito".
Era nata la stereoscopia. Se la fotografia ai
suoi esordi pareva dovesse uccidere la pittura,
la nuova forma di rappresentazione si presentava
come un passo ulteriore; bisognava solo attendere
le prime stereografie abilmente colorate a mano
per illudersi (ancora una volta) di aver concluso
il cammino.
La storia ha poi dimostrato che la rappresentazione
non è solo verosimiglianza, ma anche evocazione,
e così la pittura, dopo la fotografia,
ha ritrovato dignità, iniziando a interpretare
la realtà trasfigurandola, e la stessa
fotografia ha dimostrato la sua estetica, che
non è la pura duplicazione del reale.
La stereoscopia ha meravigliato l'uomo per circa
sei decenni, poi l'epoca moderna, con le fotografie
animate del Cinematografo e gli ideali del Futurismo,
ha aperto gli occhi su un'altra dimensione del
reale, il movimento, assente nella magica, misteriosa
e "cadaverica" fissità delle
fotografie stereoscopiche.
Di questo frammento della nostra storia, che riguarda
gli esordi della rappresentazione del mondo in
rilievo - prima del cinema tridimensionale, dell'olografia
e poi di chissà cos'altro ancora - ci restano
le affascinanti immagini stereoscopiche, a testimoniare
un'epoca in cui non esisteva la frenesia d'oggi,
e in cui, nella difficoltà di recarsi per
il mondo, era il mondo stesso in tre dimensioni,
con tutte le sue suggestioni, a recarsi in ogni
abitazione, proprio come accade oggi per il mezzo
televisivo, ma con ben altra poesia.
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