TRA FOTOGRAFIA E STEREOSCOPIA

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Con l’invenzione della fotografia, il cui primo metodo di larga diffusione fu messo a punto dal francese Louis-Jacques Mandé Daguerre (1787-1851) e presentato a Parigi dall’astronomo François Arago (1786-1853) nel 1839, l’antico sogno dell’uomo di riprodurre il mondo reale, automaticamente e fedelmente, su una superficie bidimensionale giungeva a coronamento.

Parallelamente, vedeva la luce e si sviluppava una nuova forma di rappresentazione del mondo, che permetteva di riprodurlo su una superficie bidimensionale anche nel suo aspetto volumetrico. Era la stereoscopia, ovvero la fotografia tridimensionale, una tecnica basata sul principio della binocularità della visione umana, secondo cui possiamo vedere la realtà nel suo aspetto volumetrico attraverso la sintesi a livello cerebrale delle due differenti immagini percepite da ciascun occhio.

La fotografia venne immediatamente applicata anche ai soggetti astronomici, dapprima agli astri più luminosi, come il Sole e la Luna, e successivamente a quelli più deboli, come le comete. Gradualmente lo fu anche la stereoscopia.

La prima cometa ad essere fotografata, pur con modesti risultati, fu quella di Donati del 1858. Di migliore qualità furono le fotografie delle grandi comete del 1881 e 1882, ma, per avere risultati comparabili con quelli odierni, occorrerà attendere le ottime immagini della cometa Morehouse del 1908, ottenute dall’astronomo Edward Emerson Barnard (1857-1923).

Con l’avvento del XX secolo, la fotografia soppiantò definitivamente le tecniche incisorie e pittoriche nella rappresentazione scientifica delle comete, confermando quanto presagito dall’astronomo Georges Rayet (1839-1906) nel 1887: La fotografia delle grandi comete, del loro nucleo e di una parte della loro coda, è ora cosa facile e nessuno di questi astri si mostrerà più all’orizzonte senza che una pluralità di osservatori non ne scatti delle fotografie.



Nell'immagine 2D: veduta parziale dell'esposizione nell'Oratorio di San Michele a Padova.

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